L’agricoltura dell’antico Egitto era legata alle provvidenziali inondazioni del Nilo. Il calendario agricolo era costituito da tre stagioni: akhet, la stagione dell’inondazione, che cominciava il 19 luglio; peret, la stagione dell’aratura e della semina, che cominciava il 15 novembre; shemu, la stagione della messe, che cominciava il 16 marzo. Durante i quattro mesi in cui la piena del Nilo copriva i terreni, i contadini dovevano provvedere alla manutenzione dei canali che distribuivano l’acqua ai vari appezzamenti. Una volta che il fiume era rientrato nell’alveo, quando il terreno era ancora soffice, bisognava procedere all’aratura e alla semina. Gli egiziani possedevano un aratro piuttosto leggero, con un vomere in legno, che veniva aggiogato ad una coppia di buoi, mentre i contadini spargevano la semente. Quindi si liberavano sul terreno le greggi che, con i loro zoccoli, interravano i semi. La stagione più faticosa era quella del raccolto. Si mieteva il grano con falcetti in legno dotati di lame di silice, quindi le spighe erano poste in reti ed in seguito trasportate a dorso d’asino sull’aia, in cui venivano accatastate affinché fossero calpestate da asini e buoi. Il grano così battuto, affinché il vento separasse i semi dalla pula, veniva gettato in aria con delle pale e dei forconi in legno. Infine, il grano veniva misurato, messo in sacchi e riposto nei granai. Anche la viticoltura era notevolmente sviluppata sin da un’epoca molto antica. L’uva veniva raccolta a mano e i grappoli erano posti in tini in cui venivano in seguito pigiati con i piedi per farne uscire il mosto; questo colava in recipienti speciali, in cui veniva conservato fino a fermentazione.